Dopo Milano e Napoli, anche Roma è scenario di occupazioni. Un gruppo di lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo chiedono ascolto a suon di ‘A me gli occhi please’.
Dopo il Piccolo Teatro di Milano e il Mercadante di Napoli, nella mattinata di oggi 14 aprile anche il Globe Theatre di Roma è stato occupato da alcuni lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo per manifestare il disagio che questa situazione di crisi sta provocando.
Radunati in condizione di sicurezza nel teatro amato e voluto da Gigi Proietti (ricordiamo che il Globe è un teatro all’aperto), continuano a chiedere in sintesi quello che si grida a gran voce da molto tempo e che ha mosso altre forme di protesta, come quella ben organizzata e strutturata dei Bauli in Piazza, tra l’altro organizzata proprio a Roma in Piazza del Popolo per il 17 Aprile.
Quanto reclamato riguarda la continuità di reddito a sostegno della categoria spettacolo dal vivo, che le riaperture siano accompagnate da sicurezza sanitaria ma soprattutto da una riforma strutturale del settore:
"Non siamo qui per chiedere la riapertura dei teatri: troppi spazi piccoli e medi non riuscirebbero a riaprire in queste condizioni, troppi lavoratori continuerebbero a rimanere a casa senza reddito. La falsa ripartenza della scorsa estate ce lo ha dimostrato. – scrivono nella loro piattaforma di rivendicazione – Crediamo sia arrivato il momento però che uno di questi grandi teatri ri-accolga la collettività che anima e sostiene l’enorme ecosistema dei luoghi della cultura. Adesso, mentre si discute di piani di ripresa e di Recovery Fund, è il momento giusto per strutturare una continuità di reddito e un’equa redistribuzione delle risorse. Abbiamo bisogno di una riforma strutturale del settore che parta dalle necessità dei lavoratori: dobbiamo rimettere al centro la nostra sicurezza, fisica e contrattuale". (Fonte Fanpage)
C’è un grave problema di fondo, i lavoratori e lavoratrici dello spettacolo non hanno ricevuto e non ricevono sostegni adeguati come invece accade per i teatri pubblici. Senza una riforma strutturale, in assenza di un piano concertato dal Ministero e dalla rappresentanza della categoria, quella che resta è solo la possibilità di un atto di protesta, spesso isolata.
Ma rimane un buco nero, quello che inghiotte le richieste perché, in quel buco nero, nessuno dal Governo e dal Ministero della cultura, dopo un anno, sa dare risposte concrete.